Dietro a ogni buon piatto c'è sempre un'ottima birra

L’occasione persa della Birra Artigianale

L’occasione persa della Birra Artigianale

Conosciamo tutti la storia di “Davide contro Golia”, ma questa volta Golia è tornato e ha battuto Davide, mettendo in bella vista la sua vittoria.

Nei giorni scorsi il settore della Birra Artigianale (Craft Beer) ha subito un grosso colpo da parte del suo “Fratello Maggiore” la Birra Industriale (Crafty Beer), mettendo a segno un risultato che ha scosso, non poco, tutto il settore artigianale.

Iniziamo parlando di Francesco Martucci della pizzeria “I Masianelli”, premiato per tre volte di fila, con quest’anno, come miglior pizzaiolo da “50 Top Pizza”. Martucci ha fatto dell’artigianalità e ricercatezza degli ingredienti il punto di forza delle sue pizze rinomate e apprezzate.

Ciò era possibile riscontrarlo anche nella sua selezione di birre alla spina e in bottiglia, esclusivamente “Artigianali”, un vero e proprio vanto in questo caso per tutto il settore ma anche per i birrifici italiani che venivano selezionati.

Ma da ormai un anno le cose sono cambiate, ciò è stato notato da una foto di gruppo che ritraeva Martucci e il suo Staff che sfoggiavano le nuove divise con il logo di “Birra del Borgo” in bella mostra, il tutto viene confermato anche da un articolo di “Identità Golose”.

“Da circa un anno I Masanielli ha aperto una partnership con Birra del Borgo, main sponsor anche di Identità Golose e del suo congresso, fondata dal romano Leonardo Di Vincenzo e ora gestita dalla multinazionale AbInBev.”

“Francesco Martucci e il suo Staff con le divise brandizzate di Birra del Borgo”

Ricordiamo che Birra del Borgo in passato è stato uno dei birrifici artigianali italiani di punta che aprì la strada a questo settore, fino a quando non fu acquisito dalla multinazionale AB Inbev e da quel momento, per la legge italiana, è diventato un birrificio industriale a tutti gli effetti.

Questo è stato il duro colpo inferto da Golia a Davide, da questo momento tutti i clienti fidelizzati e i nuovi avventori di “I Masianelli” ad accoglierli all’ingresso troveranno un bancone brandizzato con le spine di Birra del Borgo, anche se la carta delle birre mantiene ancora una selezione di birre artigianali.

Naturalmente le reazioni da parte di molti non sono venute a mancare, primo fra tutti è stato Giovanni Puglisi, lavora e scrive per i birrifici artigianali (Hot Mash – Crafting Beer Identities), Food Hunter & Blogger (Dishipline), che alla notizia della partnership Masanielli/Borgo ha pubblicato il suo pensiero a riguardo, di seguito un estratto di ciò che ha scritto:

“La colpa è nostra.

Intendo “nostra”, del settore birra artigianale. È nostra perché non sappiamo muoverci in maniera organizzata e corale, non abbiamo saputo imporre il messaggio che il nostro prodotto è una mozzarella di bufala filata a mano, mentre una birra industriale è la Santa Lucia Galbani. Non importa se confezionata in un sacchetto cartapaglia finto-fatto a mano, non importa se riporta in etichetta una bella illustrazione: sempre Santa Lucia Galbani è.

La colpa è nostra perché abbiamo lasciato che un clone malfatto di tutto quello che abbiamo costruito in quasi trent’anni ci soffiasse il posto.
La colpa è nostra. Ma la colpa è anche loro.

La colpa è di chi si rende complice dell’operato delle multinazionali e per amore del profitto sceglie un prodotto scadente (perché questo è) spacciandolo ai propri clienti per eccellenza.

La colpa è di chi sceglie solo il meglio per il proprio locale – tranne che in materia di birra, tanto i clienti non sanno un cazzo e se bevono tutto.

La colpa è dei convegni internazionali di chef, che scelgono come sponsor i peggiori prodotti dell’industria, prodotti coi peggiori ingredienti, lavorati nel peggiore dei modi.”

Puglisi non risparmia nessuno da ogni punto di vista, ma la vera colpa è da imputare agli stessi birrifici artigianali, che non sono stati in grado di comunicare, dalla nascita del movimento fino ai giorni nostri, in maniera chiara e accattivante al cliente finale, tutto il potenziale della birra artigianale. Anzi le troppe informazioni rilasciate senza alcun tipo di filtro hanno ottenuto il risultato opposto.

Infatti molto spesso mi è capitato di incontrare durante le serate dietro al bancone diverse tipologie di clienti, dal cliente medio che non possiede alcuna conoscenza di ciò che sta bevendo, vuoi perché si è appena avvicinato a questo mondo, vuoi perché non è interessato, al cliente adulto che beve solo una determinata tipologia di birra (tipo lager/weisse/belghe), al cliente di nuova generazione che beve soltanto IPA (India Pale Ale e ogni suo sottostile), al cliente che beve solo una determinata birra o birrificio e nient’altro, fino ad arrivare al cliente “Beer Geek o Nerd” che conosce ogni minimo dettaglio della birra e del birrificio.

Conoscendo queste diverse tipologie di cliente è sbagliato porsi nello stesso modo con ognuno di loro, ovvero mostrandoci dall’alto della nostra conoscenza che dispensiamo il nostro sapere come se fossimo i “Sacerdoti di questo movimento”.

Perché nella maggior parte dei casi, il cliente vuole semplicemente bere una buona birra che soddisfi la sua sete, senza essere anticipata da una lunga descrizione di informazioni e paroloni incomprensibili ai più. Altrimenti otteniamo un risultato opposto, ovvero il calo di attenzione e interesse su ciò che stiamo per servire, infatti molti clienti non si ricordano mai cosa hanno ordinato e tanto meno cosa hanno bevuto a distanza di pochi giorni.

Di fronte a una conoscenza saccente e presuntuosa a volte il cliente medio si trova in una posizione di inadeguatezza e fuori luogo, quindi per nulla coinvolto e/o partecipe al movimento, questa è la motivazione principale del suo allontanamento da tutto ciò che riguarda la birra artigianale.

Un esempio calzante ci viene fornito dal podcast “Salviamo la Birra Artigianale dalla Birra Artigianale” di “Tienimi Bordone”, consiglio vivamente di ascoltarlo, dieci minuti che vi apriranno gli occhi a ciò che può succedere a un cliente medio in un pub, perché sicuramente molti di voi ci si ritroveranno:

Un’altra personalità di spicco legata a questo mondo è Manuele Colonna, uno dei “Fondatori-Conoscitori-Divulgatori” di questo movimento, proprietario del “Ma Che Siete Venuti a Fare” e autore del libro “Birra in Franconia”, vive girando in lungo e in largo per i Birrifici della Franconia e riportando a fine di ogni suo viaggio, una selezione di birre che è possibile bere presso il suo Pub o al “Franken Bier Festival”.

Che dopo aver letto diversi interventi ha voluto esporre il proprio pensiero a riguardo, a seguire un estratto dei punti più salienti, se volete leggere il post per intero, lo trovate al seguente “link”:

“Al di là di tutto, spero VIVAMENTE che chiunque abbia un locale specializzato porti il suo locale a quello che è l’obiettivo principale di una birra, in tutte le sue dimensioni: la socialità.La gente va al pub PER BERE, per stare con gli amici, per socializzare. Niente di meglio di una birra. E l’unica maniera per contrastare lo strapotere economico delle industrie e delle loro birre che sanno di corriere dello sport imbevuto da una pioggia torrenziale, è l’offrire birra DA BERE.

È importante capire che per la sopravvivenza del mondo artigianale, per dargli dignità e POSSIBILITÀ DI SCELTA, alternativa alle varie “crude” e “non filtrate” della industria, facciate primariamente far stare a CASA la clientela, creare situazioni dove la gente abbia un luogo dove rifugiarsi e sia accompagnata da un BUON BERE: non impegnativo, ma che colga nel gusto, che sia piacevole come la compagnia e il vostro sorriso.

Create dei posti dove anche chi non conosce il nostro mondo abbia il piacere di vivere qualcosa di diverso…la birra la bevono tutti, ma in pochi ne conoscono le sue potenzialità.
Date conoscenza e corretta divulgazione, regalate EMOZIONI, poi può arrivare anche l’industriale di turno col suo assegnino…ma il cliente conoscerà la differenza, e non avrà prezzo.”

Il sommarsi di tutte queste situazioni ha portato il movimento artigianale a escludersi da tutta una serie di attività, come le botteghe, pizzerie, ristoranti, stellati e supermercati. Rimanendo ancorato e confinato a vecchi luoghi comuni della tradizione, caratterizzati da pub, festival e fiere del settore, praticamente attività dai numeri limitati, rendendo difficile ogni tipo di crescita a livello di produzione e consumo.

Ciò ha permesso all’industria di entrare a gamba tesa e senza chiedere il permesso ai birrifici artigianali. Creando un nuovo prodotto, la Birra Crafty, un anello di congiunzione tra industriale e artigianale. Tramite una serie di azioni di marketing studiate e costruite intorno al cliente medio, in modo da portarlo a consumare prodotti dalla “parvenza artigianali ma dall’anima industriale”.

Le Crafty, possiedono i punti di forza di entrambi i settori:

Industriale:

Artigianale:

  • Produzione di massa
  • GDO
  • Prezzo
  • Pubblicità
  • Nuove tipologie di birre
  • Ingredienti particolari
  • Nuovi design, grafiche e packaging
  • Merchandising

Quindi riprendendo l’accaduto di Martucci/Borgo, la birra crafty diventa il cavallo di Troia per conquistare un mercato che non è il suo, grazie all’appoggio della pizzeria I Masanielli, di seguito Francesco Martucci spiega la decisione di inserire Birra del Borgo, con la necessità di accontentare una clientela che non ha il palato per comprendere una birra complessa come l’artigianale:

“Dovreste capire che una fascia di clienti non gradisce l’artigianale e io vivo grazie ai miei clienti.

Non grazie alle chiacchiere, ecco quelle se le porta il vento.

Spero di essere stato di aiuto per farti capire mannagg a capa toia che i locali non sono fatti per imporre(sarebbe da arroganti)

Ma per adeguarsi alla richiesta del cliente(in questo caso quelli che preferiscono l’industriale e ne sono tanti)

Non ho mai nascosto i miei spillatori, non ne ho bisogno, lascio scegliere.

Questa polemica è sterile”

Allora cosa è cambiato da un anno a questa parte, quando Martucci serviva ancora birra artigianale tra le sue spine? Detto fatto, la riposta ci viene data direttamente dallo stesso Martucci, che considera le birre di Borgo come “Artigianali”, aumentando sempre di più la confusione tra i clienti stessi che non riescono a capire se quello che stanno bevendo è ancora artigianale o industriale:

“Ho sempre apprezzato molto il lavoro di Birra del Borgo, anche in un contesto industriale riescono a raggiungere dei livelli di artigianalità encomiabile. E’ nata una collaborazione che è partita da loro, sicuramente mi ha molto lusingato che mi abbiano dimostrato di tenerci molto, di credere nel mio progetto.”

Potremmo ritenere che le tecniche di convincimento delle Multinazionali funzionano, se sono riusciti a convincere un pluripremiato pizzaiolo, dedito al selezionamento dei migliori ingredienti artigianali per le sue pizze, a ritenere che una birra industriale sia paragonabile qualitativamente a quelle artigianali. Un vero e proprio lavaggio del cervello.

Dopo aver convinto lui, non servirà convincere i suoi clienti essendo già essi fidelizzati, perché se lui ritiene che Birra del Borgo possa essere spillata all’interno del suo tempio, ogni cliente si fiderà della sua scelta in quanto prodotto valido che merita di essere bevuto.

La strategia delle Multinazionali si può semplicemente esporre in 5 punti, che si stanno attuando ormai da diversi anni:

  1. Creare i propri marchi di birra “pseudo” artigianale.
  2. Comprare i birrifici artigianali per sottrarre mercato al settore artigianale.
  3. Difendere e pubblicizzare le birre “industriali”, ironizzando sulle birre artigianali.
  4. Comprare i distributori indipendenti per controllare la distribuzione di birra a livello nazionale.
  5. Fondere le società unendo forze e capitali per travolgere il mercato.

La mia precedente affermazione trova conferma nel botta e risposta di Puglisi/Martucci, in cui lo stesso Puglisi spiega per filo e per segno la strategia dell’industria per inserire i propri prodotti all’interno del mondo dell’enogastronomia:

“Ho studiato le strategie dell’industria, che consistono nel creare un prodotto che assomigli nell’estetica a quello artigianale (un cosiddetto prodotto “crafty”), e di associarlo poi a grandi ristoranti e pizzerie in modo che acquisisca prestigio.

Così l’industria limita la possibilità che la clientela generalista possa entrare in contatto con prodotti artigianali autentici; che rimangono così sempre più relegati nella loro nicchia.

Legare un prodotto crafty a un nome e a un locale come ai tuoi, è un colpo durissimo per il mondo artigianale: a te potrà sembrare di no, ma fidati, è così. Una reputazione come la tua, un locale come il tuo, una pizza come la tua marchiati con un logo dell’industria: cosa possono pensare i clienti, se non che si tratti di una birra di qualità?”

A differenza dei sopracitati, i Birrifici Artigianali si sono occupati soltanto di aumentare il comparto produttivo e qualitativo, dedicandosi principalmente alla realizzazione di birre dall’elevato livello di “HYPE”, proveniente dai mercati esteri che a differenza dell’Italia hanno una tradizione con radici più profonde. Tralasciando gli aspetti più importanti, “Marketing & Comunicazione”.

Perché cercare di vendere un prodotto, che ha tutte le carte in regola per imporsi sul mercato, senza aver creato in precedenza una strategia di marketing e comunicazione, vuol dire fallire su tutti i fronti. Ciò è successo a questo settore che non è riuscito a mostrare le doti e la qualità della birra artigianale, mancando l’occasione di raggiungere il grande pubblico e il mondo dell’enogastronomia.

“Il maggior problema della comunicazione è l’illusione che sia avvenuta”

George Bernard Shaw

Nonostante a tutti gli effetti possa considerarsi una sconfitta, il settore artigianale ha perso solo una battaglia mentre la guerra è ancora aperta. Certo abbiamo perso una personalità di spicco legata alla ristorazione, ma ce ne sono molti altri legati che tuttora stanno svolgendo un ottimo lavoro per quanto riguarda l’abbinamento “Cibo & Birra Artigianale”, alcuni esempi sono:

La lista di locali dove poter trovare questo tipo di abbinamento è molto lunga, ma per fortuna i social ci vengono incontro su questo.

L’importante è imparare dai propri sbagli e rimboccarsi le maniche prima di andare avanti, prendendo spunto su ciò che abbiamo fatto di buono finora e cercare di capire come poterlo replicare e adattare ai nuovi tempi.

Giunti alla fine, voglio condividere gli ultimi due pensieri, che sono scaturiti da questo avvenimento, che provengono da Manuele Colonna:

“La birra artigianale non riesce a sfruttare sé stessa, essere il giusto e naturale partner per Maestri della ristorazione. Paga errori, paga assenza di professionalità e separatismi interni. E nega al cliente finale un abbinamento naturale perfetto per esaltare un prodotto”.

e da Antonio Tomacelli, capo di Intravino, su comunicazione e rilevanza:

“Basta guardare quanti blog e riviste sulla birra esistono: praticamente zero. Senza comunicazione non c’è appeal, cosa che i vinicoli hanno capito da tempo”.

Che rispecchiano perfettamente la mia filosofia di pensiero che espressi già nel mio primo articolo “Manifesto di un Drink Blogger”, e su cui è basato interamente “Hoppy Chef”. Dare importanza agli abbinamenti birra e cibo, mostrando quanto possa essere semplice abbinare diverse tipologia di birra ai piatti della nostra tradizione, ma anche a quella internazionale. Come la birra artigianale non debba essere relegata alla semplice categoria di bevanda “alcolica”, ma debba essere elevata in quanto prodotto qualitativamente valido e capace di soddisfare le nostre esigenze, di regalare emozioni attraverso ogni suo sorso oppure di farci viaggiare con la mente in ogni parte del mondo alla conoscenza dei diversi stili di birra.


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